Smartworking e mobilità: l’esperienza del lockdown a Milano

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Durante i mesi di marzo e aprile 2020 il lockdown – misura di contenimento e contrasto al virus COVID 19 – ha determinato un notevole calo degli spostamenti di persone all’interno e fuori dalle città; ciò ha indotto conseguenze sulla viabilità, sull’utilizzo dei mezzi pubblici e sulla qualità dell’aria.

In particolare, tale situazione ha messo al centro dell’attenzione il tema dello “smart working”, individuato come soluzione per garantire e conciliare il proseguimento del lavoro (anche scolastico) dalla propria abitazione, in regime di chiusura delle sedi.
La dimensione dell’esperienza ed i vincoli prescrittivi imposti, hanno, di fatto, creato le condizioni per un’analisi di “stress test”, utile a valutare e misurare l’impatto “potenziale” che tale misura potrebbe determinare sulla riduzione della congestione del traffico urbano, con i correlati effetti di minor consumo di combustibili, e quindi di minor impatto ambientale.

A tal proposito RSE ha promosso uno studio per analizzare, durante le varie fasi del lockdown, la differenza di domanda di mobilità rispetto alla situazione immediatamente precedente, concentrando l’attenzione sul ruolo e sull’impatto dello smart working.
Il campo di indagine è stata l’area milanese, scelta per la sua rappresentatività socio-economica e perché su tale area RSE ha acquisito esperienza, avendo già ha svolto in passato ricerche su possibili soluzioni di mobilità sostenibile urbana.

La ricerca ha utilizzato dati acquisiti, con strumenti SDK – Software Development Kit – installati su un network di applicazioni con cui è possibile, previa autorizzazione, monitorare la posizione del dispositivo mobile su cui è installata una determinata applicazione.
I dati raccolti, opportunamente resi anonimi e usati solo in forma aggregata, riguardano 35.000 utenti che nei giorni feriali, vivono, lavorano o visitano stabilmente Milano. Un campione pari a circa il 3% della popolazione residente nel territorio comunale.

I dati, considerati in tre macro aree, centro, prima cintura e hinterland, si riferiscono alla situazione ante Covid, al periodo 25 Febbraio – 6 Marzo (1Covid) e dal 9 al 20 Marzo (2Covid).
Tale approccio ha quindi consentito di valutare “per differenza”, gli effetti indotti dal lockdown, sia in termini di “abitudini di mobilità” (fascia oraria e percorso), sia di “tipologie” di persone che si spostano.

Rispetto al periodo ante Covid, la riduzione stimata degli spostamenti è pari al 25% nel periodo 1Covid e del 55% nel periodo 2Covid; tale stima è coerente con altre valutazioni fatte dall’AMAT di Milano sul lato offerta di mobilità.

Di questi, circa il 45% dei mancati spostamenti è “sistematico”, cioè riconducibile al tragitto casa/lavoro (o studio), dove è ricorrente la ripetizione del percorso.
Questi spostamenti sono assimilabili alla fascia di popolazione degli occupati, pari a circa il 70% della popolazione residente, come emerge dalla fotografia Istat su Milano.
Gli altri spostamenti, come ad esempio il recarsi al supermercato a fare la spesa, sono detti “occasionali”.

Complessivamente nella fase più acuta il lockdown ha interessato più gli occupati (65%) rispetto ai non occupati (46%); il centro città ha fatto registrare i maggiori cali di spostamenti, per la chiusura di moltissimi uffici e attività commerciali.

Da queste informazioni RSE ha svolto un’ulteriore analisi sul ricorso allo smart working e sul suo potenziale in termini di effetti di mobilità sull’area di Milano.

Considerando il numero di addetti per settore, forniti dalla banca dati Istat (Istat, Censimento industria e servizi 2011), e la tipologia delle mansioni toccate dall’obbligo di chiusura, è stato stimato che circa il 63% dei lavoratori rimasti a casa ha potuto continuare a lavorare grazie al ricorso al lavoro da remoto.

Tale dato, rapportato al calo degli spostamenti sistematici registrato nel periodo 2Covid pari al 53% della riduzione degli spostamenti complessivi, fa ritenere che il calo degli spostamenti “associabili” allo smart working abbia interessato circa il 23% dei mancati spostamenti.

Contestualizzando questo dato in un’analisi sul potenziale massimo dello smart working, decurtando cioè la quota di chi è rimasto a casa senza poter lavorare, si ottiene un potenziale di riduzione degli spostamenti totali giornalieri, grazie al massivo ricorso al lavoro agile, pari al 14,5%.

Un ulteriore affinamento riguarda i dati di mobilità suddivisi per fasce orarie e l’impatto su riduzione del traffico e affollamento dei mezzi pubblici nelle ore di punta.
Il lavoro da remoto permetterebbe una riduzione degli spostamenti totali fino a un massimo del 19% fra le 7 e le 8 del mattino e del 16% a fine giornata.

Da una precedente ricerca svolta da RSE, insieme a Tandem, sull’area di Milano si sono utilizzati i dati che ricostruiscono le scelte modali dei cittadini – automobile, moto, bicicletta, trasporto pubblico e tragitti a piedi – in un giorno medio feriale.
Questi sono stati applicati per stimare l’impatto della riduzione degli spostamenti sistematici a seguito del ricorso allo smart working con l’intensità massima stimata durante l’ ”esperimento COVID”.
Il risultato per spostamenti evitati grazie al ricorso al lavoro agile prevede una riduzione potenziale di circa 5.800.000 vetture-km al giorno, per il solo trasporto privato in automobile, cioè circa il 60% del totale.

Naturalmente i dati fin qui presentati costituiscono uno scenario di massima, in cui si fa ricorso allo smart working ovunque sia possibile e in tutti i giorni lavorativi. Al fine di definire un approccio maggiormente realistico, è stato ipotizzato che il lavoro da remoto venga applicato 2 o 3 giorni a settimana, ottenendo i risultati di risparmio nei consumi e di mancate emissioni di inquinanti riportati in Tabella.

Tabella 1 consumi
Tabella 1

Confrontando questo trend ad altri interventi sulla mobilità sviluppati nell’ambito del già citato studio precedente di RSE, gli esiti sono ancora più interessanti.

Nello scenario A-TRANSIT, dove si era considerato il potenziamento del trasporto pubblico locale (due nuove linee della metropolitana e incremento delle frequenze dei treni locali) l’infrastrutturazione porterebbe, in ragione di un minor ricorso agli spostamenti in auto, ad un risparmio sui consumi totali pari a circa il 7% rispetto al caso base.
Nel secondo scenario, B–ELETTRICO, che prevede una massiccia modernizzazione della modalità privata con introduzione di veicoli elettrici, il risparmio salirebbe al 25% rispetto al caso base (al netto dei consumi elettrici).

Si può dunque affermare che il ricorso allo smart working, anche se applicato in forma più leggera rispetto a quanto ipotizzato in questo studio, che come già detto rappresenta una stima di “massima potenzialità”, potrebbe permettere riduzioni dei consumi e delle emissioni paragonabili a quelli di altre tipologie di interventi (potenziamento del TPL, mobilità elettrica..) e si colloca, quindi, tra le soluzioni che possono essere messe in campo per una maggiore sostenibilità della mobilità all’interno delle città.

A conclusione di questa analisi emergono dunque le importanti potenzialità che tale misura potrebbe comportare alla mobilità sostenibile, anche in ragione del fatto che non richiede, da parte delle istituzioni, significativi investimenti e tempi di realizzazione lunghi. Nell’analisi, tuttavia, non si può non tener conto delle implicazioni che una diversa organizzazione del lavoro potrebbe determinare sul tessuto economico e sociale delle aree residenziali interessate dalla presenza di uffici.

Nell’implementare tale misura sarà dunque necessario prevedere forme di compensazione e di riorganizzazione dei servizi associati al mondo del lavoro.

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